A proposito del linguagio di Francesco: un testo del card. Siri



A proposito dell'ermeneutica

Cardinale Giuseppe Siri
Estratto dal libro Getsemani 
Riflessione Sul Movimento Teologici Contemporaneo



Il verbo dell'uomo è scaturito da un ordine di suprema armonia. È questa un'immutabile e fondamentale conoscenza. Il verbo dell'uomo è scaturito dall'ordine dell'Intelligenza eterna del Creatore. Nessun ricorso ad immagini dell'uomo e della società umana, nel più remoto passato, nessuna analisi dei dati delle lingue e dei linguaggi, nessuna speculazione sui dati della psicologia, detta sperimentale, nessuna ricerca in qualsiasi campo, può alterare questa grande e profonda verità, che è e deve essere sempre alla base di ogni meditazione e di ogni speculazione a proposito della verità, di Dio, dell'uomo e dei suoi eterni destini. Il verbo dell'uomo ha la sua origine nel Verbo di Dio.


Assistiamo, ormai già da tempo, ad un ostinato sforzo per rinnovare la nozione fondamentale della parola e dei rapporti dell'uomo con la sua propria parola e con la parola degli altri. Questo, che lo si voglia o no, conduce dapprima alla negazione o all'oblio dell'origine e della natura del verbo dell'uomo, e poi ineluttabilmente alla distruzione nell'uomo delle fondamentali basi ontologiche della parola umana.
Questa alterazione si compie in seno all'ermeneutica, alterando radicalmente ogni norma di logica eterna dell'Interpretazione. In tutte le direzioni e in tutte le attività intellettuali, si nota facilmente un'effervescenza nella ricerca di un nuovo linguaggio, ricerca patetica di una nuova lettura dei testi, e non soltanto di quelli della Sacra Scrittura, ricerca di una nuova concezione del fatto di «comprendere»; nuove norme, sempre labili, per l'interpretazione dei testi, dei segni ed anche dei fatti. Questa ricerca conduce, per forza di cose, ad uno sforzo di analisi dei rapporti tra testo e autore, tra testo e lettore, tra autore e lettore, tra interlocutori, tra opera e ambiente storico; analisi senza fine, in quanto non è possibile stabilire un qualche possibile punto fisso di riferimento; perché tutte le nozioni e i contatti tra le opere e gli uomini sono presi nella danza di un «impalpabile esistenziale».
Questo sforzo di analisi fa scomparire dalla coscienza le basi ontologiche del verbo dell'uomo. E l'uomo si sente preso in un interminabile flusso e riflusso tra soggetto e oggetto, tra realtà fugace e la percezione di questa fugace realtà. L'uomo così non ha alcun punto di appoggio, nel suo naturale movimento di conoscenza; perde ogni possibilità di saldo riferimento al suo proprio essere, non ha più norma interiore, immutabile, della parola umana. I testi, il sapere, i ricordi, la grammatica, il senso di sé e il senso dell'altro, sono talmente rimessi in causa che subiscono come una diluizione, perdendo ogni consistenza. Ad ogni istante, la parola vacilla; nel desiderio di cogliere, non una cosa o un'idea, ma la quintessenza di un «momento di comprensione», le parole perdono i loro rapporti intrinseci con l'ordine originario della parola; le parole perdono ogni possibilità di render stabile un significato.
Dispaiono, allora, con i significati di base, anche tutte le possibili sfumature delle parole e dei significati. L'uomo diviene così incapace di recepire una certezza. Questa è la più grande prova per la parola dell'uomo, nel quadro dell'ermeneutica del nostro tempo.
Nei secoli che recano l'impronta dello sviluppo della mentalità storicista, ha preso forma e si è sviluppata una lettura sempre più nuova dei testi dell'Antico e del Nuovo Testamento. E in tal modo sono nate e si sono sviluppate tutte le peculiari forme della nuova critica della Sacra Scrittura.
Questa nuova e sempre più nuova lettura, questa critica è emersa e si è sviluppata su un duplice criterio storicista: da un lato, ricontrollare tutti i fatti e tutte le testimonianze riportate da questa stessa Sacra Scrittura, attraverso criteri e fonti d'informazione della storia generale; dall'altro, recepire il messaggio della Scrittura, come un messaggio di escatologia intra-storica.
Contemporaneamente, questo medesimo controllo e questa medesima analisi dei testi della Sacra Scrittura sono stati effettuati su basi letterarie, filologiche, archeologiche, etnologiche, ed anche secondo i dati sempre nuovi delle scienze sperimentali, come la fisica e l'astronomia.
Come tutte le cose su questa terra, in parallelo a questa critica storica, che ha evoluto nel senso della mentalità storicista, uno studio critico, un approfondimento della Sacra Scrittura, ha continuato a trasmettere fino ai nostri giorni, in modo più o meno imperfetto, ma sempre fedele alla Verità rivelata, il senso reale del più profondo mistero dell'Antico e del Nuovo Testamento e dei fatti della Storia Sacra, dell'Incarnazione del Verbo di Dio e della Resurrezione di Gesù Cristo.
Questo progredire in parallelo raramente si compie nella vita del mondo come il prolungamento di due rotaie di una strada ferrata. C'è un'interpenetrazione nella quale domina l'una o l'altra tendenza, talora nella medesima persona o in una medesima epoca.
La critica storica, letteraria e filologica non si è limitata soltanto ai quadri della Sacra Scrittura; si è estesa a tutti i testi apostolici, patristici, agli Atti dei Concili e di tutto il Magistero della Chiesa.
E in tal modo ha preso forma una tendenza a reinterpretare i testi scritturali, i testi teologici dei Padri, i testi dogmatici della Chiesa; tendenza che ha finito col «reinterpretare» ogni scritto, ogni fatto e insegnamento giunto fino a noi tramite la Tradizione; «reinterpretare» interamente l'avvento e il messaggio di Cristo.
È evidente che tutto questo vasto evento della nuova critica ha fondamental-mente influenzato in molti la nozione della fede della Chiesa, e di conseguenza l'orientamento della teologia, cosiddetta biblica, e della teologia in genere, essendo stato rimesso in causa da successive «reinterpretazioni» il fondamento dogmatico della Chiesa.
Anzi da uno sguardo circolare e approfondito su tutti questi fenomeni ermeneutici, emerge, di ancor più importante e significativo, che questa spinta che quasi si potrebbe definire istintiva per una reinterpretazione di ogni cosa, ha rivestito il carattere di una teoria generale della conoscenza. E a questo punto si è parlato di ermeneutica filosofica. Dunque non si tratta più soltanto dell'interpretazione di un testo o di una narrazione che ci è pervenuta per trasmissione orale; si tratta di una teoria che concerne la natura dell'intendimento, della comprensione in sé.
Questa «ricerca» è stata la giustificazione teorica, giustificazione nella coscienza esitante, dell'emancipazione generale dell'uomo; emancipazione nei confronti di una conoscenza di verità rivelata e nei confronti di una percezione e di una «lettura» dell'universo naturale e della storia umana, secondo norme iscritte nell'uomo come basi ontologiche della parola.
Questa emancipazione, questo sforzo più o meno cosciente e più o meno intenso d'emancipazione, ha preso la forma di una rivoluzione che ha intaccato tutti i campi del pensiero e la carità della vita cristiana. Questa emancipazione va oltre alle divergenze di idee e di dottrine, divergenze che si verificano sulle stesse basi della parola umana. A causa dell'emancipazione, infatti, l'Amore e la Conoscenza sono stati messi a dura prova nella cristianità, perché il verbo, la nozione del verbo sono stati scossi nelle loro basi umane ontologiche e di ordine eterno.
Il nostro giovane potrà percepire, certo, tutta questa effervescenza dell'evoluzione dell'ermeneutica; ma gli sarà molto difficile dominare la sua esperienza e organizzare la sua informazione. Inoltre si sentirà quasi nell'impossibilità di trovare un mezzo per comunicare con gli altri, perché il relativismo del verbo, divenuto ormai fondamento dottrinale della nuova ermeneutica, sopprime ogni punto di riferimento. In seno a questo perpetuo rimettere in discussione ogni percezione e ogni trasmissione, ogni nozione a proposito della parola, del capire e del conoscere, il giovane sarà portato così a riferirsi più che mai, per ogni cosa e per ogni sua parola e per quella degli altri, alla base di tutta la vita umana e di ogni vera conoscenza; a quel fondamento universale del verbo interiore. Infatti il verbo interiore appartiene all'essenza dell'uomo, in quanto essere e in quanto esistenza.
Il giovane, seguendo, per lunghi lassi di tempo, esposizioni storiche sulle differenti tappe dell'esegesi, della critica dei testi, le diverse messe a punto del Magistero, ed i commenti interminabili e le analisi filologiche divergenti dei testi e delle dottrine, si accorgerà anche di due cose:
-primariamente: i diversi itinerari dell'ermeneutica, differenti che siano, conducono comunque alla conclusione che le divergenze in seno allo storicismo non fanno che confermare l'identità storicista di tutte le sue ramificazioni nella teologia e nell'esegesi,
- secondariamente: è ormai poco chiarificante, per quanto riguarda la realtà essenziale dell'attuale teologia, continuare ad esaminare tutte le analisi dei testi, tutte le divergenti argomentazioni, tutti i commenti e tutte le interpretazioni che hanno riempito e riempiono, ogni giorno, il mondo dello studio ed anche il mondo della preghiera.
Avrà infatti già costatato che le tre caratteristiche generali: la coscienza storica, l'ermeneutica e il riferimento esistenziale, appartengono allo stesso agglomerato intellettuale nell'attuale movimento teologico; e questo, in tal modo, da non poter più, se non difficilmente, distinguerli separatamente in qualsiasi proposizione esegetica e teologica.
E questa certezza gli verrà confermata dall'esame di ogni manifestazione delle correnti teologiche sorte dalla mentalità storicista. Vedrà dispiegarsi davanti a lui l'arco di tutte le correnti teologiche che esprimono la grande prova della Chiesa, della Cristianità intera e del mondo.

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